Il prossimo 1. Gennaio 2023 entrerà in vigore il pacchetto normativo che costituisce la terza importante revisione del diritto societario, dopo quelle intervenute nel 1936 e nel 1992, rispettivamente dopo un processo legislativo durato 20 anni.
Al netto delle importanti novità portate da tale riforma, quali: la possibilità di stabilire il capitale azionario in una valuta che non sia solo il Franco Svizzero (ad ora dunque: EUR, USD, YEN, GBP), di tenere i conti in tale moneta estera, la possibilità di distribuire dividendi intermedi, l’introduzione di un nuovo istituto di aumento risp. diminuzione di capitale (il cosiddetto “margine di variazione del capitale” o “Kapitalband”), la maggior flessibilità data per lo svolgimento di Assemblee e CdA mediante l’uso di nuove tecnologie, con il presente scritto ci si vuole concentrare su di un aspetto particolare che coinvolge ed amplifica la responsabilità per il Consiglio d’Amministrazione.
I nuovi obblighi di sorveglianza e di reazione in caso di rischio d’insolvenza
Il nuovo articolo 725 CO introduce in effetti un nuovo onere per il Consiglio d’Amministrazione, ovvero quello di “sorveglia[re] la solvibilità della società” (cfr. art. 725 cpv. 1 CO).
Per comprendere appieno la portata futura di questo nuovo obbligo diviene a nostro avviso indispensabile analizzare le modifiche che si sono susseguite nel corso del processo legislativo.
In effetti sia l’avamprogetto che poi il progetto di legge contenevano una formulazione diversa, incentrata sull’obbligo degli organi societari ad agire allorquando vi fosse “fondato timore” (“begründete Besorgnis”) d’incapacità a far fronte (sistematicamente e dunque non già episodicamente) ai propri impegni entro un lasso di tempo che fra avamprogetto e progetto si è raccorciato a 6 mesi, dai 12 di partenza, per le società esenti da revisione ordinaria.
Nell’attuale formulazione il concetto di fondato timore è stato sostituito dal generico obbligo di sorveglianza, che non possiamo interpretare se non come obbligo permanente e dunque non solo derivante da un fondato timore.
Nel corso del processo legislativo non è stato stralciato solo il concetto di “fondato timore”, bensì anche il conseguente obbligo di allestire un piano della liquidità, strumento che sia nell’avamprogetto che poi nel progetto era indicato a chiare lettere ed inteso quale corollario al “piano finanziario”, che si voleva introdurre quale strumento obbligatorio per qualsiasi azienda e non solo per le “grandi imprese” (cfr. art. 716a cpv. 1 num. 3 Avamprogetto).
Quello che appar dunque essere un “silenzio qualificato” della legge circa gli strumenti da utilizzarsi per assolvere all’obbligo di sorveglianza, diviene al contrario assordante e ancora più palese prendendo atto degli ulteriori oneri a carico del CdA menzionati al capoverso 2 dell’art. 725 CO:
“Se vi è il rischio che la società diventi insolvente, il consiglio d’amministrazione adotta provvedimenti che garantiscano la solvibilità. Nella misura del necessario, adotta altri provvedimenti di risanamento della società o ne propone l’adozione all’assemblea generale qualora siano di competenza di quest’ultima. Se necessario, presenta una domanda di moratoria concordataria.”
Ebbene, quale altro strumento se non un piano di liquidità può permettere di prendere coscienza dell’esistenza di un rischio d’insolvenza? In effetti la presa coscienza di un rischio presuppone che gli effetti del medesimo non si siano già manifestati. E poi, come sarebbe possibile adottare “provvedimenti che garantiscano la solvibilità” con la dovuta efficacia senza un piano di liquidità?
Particolarmente rilevante ai fini della comprensione della ratio e dunque della portata del nuovo art. 725 CO è il seguente commento inserito a pagina 138 del Rapporto esplicativo concernente la modifica del Codice delle obbligazioni (diritto della società anonima) rassegnato con l’avamprogetto di legge:
“L’articolo 725 diviene prioritario rispetto alle regole concernenti la perdita di capitale e l’eccedenza dei debiti e costituisce il fulcro del nuovo diritto in materia di risanamento nel CO”.
In effetti il tenore di tale commento, espresso agli inizi del processo legislativo, non è stato per nulla modificato dagli apparenti sfoltimenti che l’art. 725 CO ha subito nel lungo iter che ha dato la luce alla versione finale che entrerà in vigore il 01.01.2023. Se da un lato è evidente che l’insolvenza può toccare società perfettamente capitalizzate, dall’altro è palese che l’insolvenza spesso è il primo indicatore di problemi ben più strutturali, ove la volontà del legislatore è evidentemente quello di anticipare i tempi di reazione da parte del CdA.
Ciò appare evidente dalla permanenza in tutte le fasi di evoluzione dell’art. 725 CO dell’obbligo residuale: ovvero quello di presentare una domanda di moratoria concordataria qualora le misure adottate in proprio dal CdA non abbiano sortito gli effetti desiderati e con esse nemmeno quelle di risanamento proposte all’Assemblea. Il tutto entro i termini di “dovuta sollecitudine” imposti al CdA al capoverso 3 dell’Art. 725 CO. L’accesso all’istituto della moratoria concordataria viene dunque nettamente anticipato rispetto a quanto consentito dal diritto vigente.
Da segnalare vi è anche un altro ed ultimo elemento stralciato nel processo legislativo, questa volta già nel passaggio da avamprogetto a progetto: si tratta del coinvolgimento di un revisore qualificato, che si voleva fosse chiamato per legge ad esprimere un giudizio sul piano di liquidità redatto dal CdA qualora tale piano avesse espresso l’insussistenza del rischio d’insolvenza. È pacifico che un tale fardello avrebbe avuto quale contraltare positivo uno scarico di responsabilità per il CdA grazie proprio alla convalida del revisore sul lavoro svolto. Con la formulazione di legge che entrerà in vigore il 01.01.2023, invece, tutta la responsabilità viene scaricata unicamente sulle spalle del CdA, a tutto guadagno di flessibilità e indipendenza, ma senza più ripari e accompagnato dal dovere di “dovuta sollecitudine”.
In conclusione, a nostro avviso rientra appieno in un concetto di gestione prudente, ribadito anche dalla ad oggi scarna dottrina reperibile sul tema, appoggiarsi come linea guida ai contenuti del Progetto di legge, dotandosi dunque di un Piano di Liquidità almeno su 6 mesi per società non soggette a revisione ordinaria (ove per società ivi soggette sussiste obbligo giusta l’art. 961 CO), nonché al suo costante monitoraggio e aggiornamento.